martedì 20 marzo 2012

Oggi su "La Sesia": Condizionale presente


Si chiama Linda e ha una bambina, ma potrebbe chiamarsi Vincenzo che invece è solo e felice di esserlo. Il nome, il sesso, la storia che ha alle spalle poco contano. Questa persona vive in uno stato che potremmo definire condizionale presente. Perché questa persona sembrerebbe un lavoratore dipendente da molti anni. Anni durante i quali ha vissuto, amato, ha avuto figli, ha preso in affitto una casa e azzardato l’acquisto di un’automobile. Un acquisto a rate, reso possibile da una busta paga che parrebbe quella di un essere umano dotato di quella cosa noiosissima che risponde al nome di posto fisso. Parrebbe. In realtà Vincenzo, ma potrebbe chiamarsi Sara e avere il desiderio di sposarsi, assume le vesti di lavoratore dipendente soltanto per otto mesi l’anno. Da tanti anni. Sara, ma potrebbe chiamarsi Giovanni e star per divorziare, non è una ragazzina. La generazione mille euro che tanta fortuna riscuote al cinema e in libreria non è la sua. Giovanni, ma potrebbe chiamarsi Antonella e non avere il coraggio di chiedere un mutuo, è nato e cresciuto nel mito del posto fisso, sì, quello noioso. I suoi genitori gli hanno detto che doveva studiare. Un diploma, anche meglio una laurea. E poi fare i concorsi. Quelli da 103 posti per 103mila candidati. Antonella, ma potrebbe chiamarsi Giuseppe e non sentirsela di legarsi a qualcuno vista la situazione, ha fatto come le è stato detto. Ha studiato. Ha fatto i concorsi. Non è servito. A un certo punto, ha letto sui giornali che quell’anno, lavorativamente parlando, si portava la flessibilità e che un bel contratto co.co.co era quello che ci voleva per lanciarsi nel mondo del lavoro. Giuseppe, ma potrebbe chiamarsi Priscilla e aver studiato per tutt’altro lavoro, si è anche sentito molto al passo con i tempi quando ha firmato il suo primo contratto a tempo determinato. Tre mesi, sei, nove, non conta. Tanto non è per sempre. Priscilla sapeva che, prima o poi, il posto fisso sarebbe arrivato. E lei sarebbe stata una lavoratrice dipendente. Vera. Priscilla, ma potrebbe chiamarsi Marco e nel frattempo aver compiuto 50 anni, ha firmato fogli dove affermava di non aver nulla a pretendere. Ha giurato che mai e poi mai avrebbe fatto causa all’azienda. In compenso Marco, ma potrebbe chiamarsi Luciana, lavorare da precario da 25 anni e avere l’età in cui sarebbe giusto andare in pensione, è stato inserito in un bacino. Ha ottenuto la promessa di un’assunzione. Non una promessa vaga. Hanno fornito una data: entro il 31 marzo 2012. Luciana, ma potrebbe chiamarsi Antonio ed essersi nel frattempo affezionato alla precarietà, doveva firmare il contratto a tempo indeterminato ieri. Ma ha ricevuto una telefonata: motivi tecnici, tutto rimandato. Ci faremo sentire. Antonio, ma potrebbe chiamarsi Francesca e aver avuto una crisi di panico dopo aver riattaccato, ha una sola certezza. Al 31 marzo mancano 11 giorni. O almeno dovrebbero.

Laura Costantini

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