Il più delle volte, lascio incompiuto.
Oppure cancello.
Non mi piace quello che scrivo.
Non lo trovo giusto.
La socia, quando riesce, salva quel che scrivo.
Lo conserva, anche dai crash del mio hard disk.
Anche dalla mia mania di gettar via il passato.
Questo racconto non lo avrei con me, se non fosse per la socia.
Lei lo ha conservato.
Io ve lo ripropongo.
Si intitola "Il sepolcro"
“E’ la sua tomba?”
Quello del ragazzo fu
poco più che un sussurro tra lo stormire delle fronde e le frustate del vento
contro la scogliera. Ma quella voce incerta, inattesa come l’amore quando non
hai ancora cominciato a raderti il mento, costrinse il vecchio a voltarsi.
Spostò lo sguardo da quell’icona vuota nel freddo del marmo, nella quale aveva
disperatamente cercato un volto, un’appartenenza ,al calore di quelle iridi
nocciola.
“Ho sempre pensato che lei fosse semplicemente
scomparsa”, ancora un sussurro, ma più deciso, con uno strascico dell’uomo che
non sarebbe mai diventato. “Insomma, non mi aspettavo di trovarmi qui, di
fronte alle sue spoglie mortali… è così che si dice?”
Il vecchio si chinò a
strappare un ciuffo d’erba dalle crepe che il tempo aveva scavato nel sepolcro.
“E’ così che si
diceva, ragazzo”, precisò con voce fioca. “Perché mi segui?”
“Perché voglio
conoscere la verità. E’ un mio diritto.”
Il vecchio sorrise
con l’impertinenza delle sue rughe.
“Diritto? Anche
questa è una parola in disuso. Non ci sono più diritti o doveri ma solo il lento svolgersi del tempo. Quel
tempo che non ci consuma ma che ogni volta che ci sfiora ci strappa un lamento.
Era questo che lei temeva. Questo ciò che si è avverato.”
“Dimmi quello che
sai, vecchio.”
Una nuvola in forma
di vela si spiegò sullo loro teste. Le prime gocce di pioggia scesero a
picchiettare ciò che restava del mausoleo, si rincorsero sulle foglie morte
strappate dal vento, caracollarono lungo la tesa del suo cappello, portato per
abitudine perché la necessità non albergava più tra gli uomini.
“Io non so niente.”
“Non ti credo”, disse il ragazzo seguendo con
un dito il solco che gli attraversava la fronte, sfiorandogli il viso con mani
fredde. “Tu non sei come tutti noi. La tua pelle ha la consistenza della carta,
i tuoi capelli hanno il colore della neve e i tuoi occhi… sono offuscati. E’
per questo che ti nascondi. ”
Si sottrasse a
quell’esame, a quelle dita indagatrici che cercavano conferma ad un sospetto
che ormai era certezza. Ma sapeva che non avrebbe potuto sottrarsi alla
voracità di quel bisogno, alla spinta inconsapevole e perversa di chi non si
accontenta di ciò che ha, di quel che è, ma brama di andare oltre, di
ripercorrere quel passato ormai lasciato alla dimenticanza, all’oblio.
“Ti sbagli. Neanche a
me è concesso ciò che tu desideri. Neanche a me è concesso il sollievo della
morte.”
Fece per allontanarsi.
“Perché?”, chiese il
ragazzo afferrandogli un braccio. “Perché per noi è diverso? Le piante, gli
animali nascono e muoiono e noi, noi siamo costretti a restare qui, attaccati
ad una vita che non ci appartiene. Senza radici, con un futuro che è insieme presente
e passato. Dimmelo. Dimmi cosa ci lega a questa tomba senza nome e senza volto.
Ti prego.”
Non avrebbe voluto
tradirla. Ma era stanco di portare sulle spalle il peso della verità. Stanco di
non poterne dividere la pena con qualcun altro.
“Era mia madre.”
“Non capisco, noi non
abbiamo genitori.”
Il vecchio annuì.
“Non ne abbiamo nel
senso che la storia ricordi. Ma ognuno di noi ha una madre e un padre
biologico.”
Il vento rinforzò da
nord strappando lamenti alle cime degli alberi. L’antico cimitero sembrò
riprendere vita nel turbinio di foglie brune che danzavano tutt’intorno a loro.
Il vecchio accarezzò la cavità che avrebbe dovuto ospitare il ritratto della
donna defunta.
“Fu merito suo se il
genere umano riuscì a sopravvivere alla più grande pandemia che ricordasse. Ma
il frutto dei suoi studi, dei suoi esperimenti fu al contempo la salvezza e la
dannazione dell’umanità. Quando lo capì tentò di rimediare. Unì una delle sue
cellule di mortale a quella di un immortale. Lo scopo era ripercorrere il
processo inverso. Ridare all’umanità la propria essenza ripristinando il
circolo della vita e della morte. Non le riuscì. Ho provato invano a togliermi
la vita. Diversamente da tutti gli altri io posso invecchiare ma niente può
distruggermi.”
La disperazione
allagò il viso del ragazzo, gli piegò le ginocchia gettandolo a terra. Il
vecchio si inginocchiò accanto a lui e abbracciò i suoi muti singhiozzi.
“Mi dispiace”,
mormorò. “Avrei voluto che le mie ossa scricchiolanti, i miei passi incerti, il
battito soffuso del mio cuore ti dessero la risposta che cercavi, ma la realtà
è che siamo condannati a calpestare questa terra all’infinito.”
Lo sfrigolio di un
lampo squarciò la volta del cielo. Il viso del ragazzo riaffiorò dietro le mani
tremanti. Nel suo sguardo liquido di lacrime il vecchio scorse un luccichio
nuovo, il bagliore di una flebile illusione, in un tempo lontano qualcuno l’avrebbe
detta speranza.
Il ragazzo lo aiutò a
sollevarsi.
“La risposta che
cercavo” disse alzando gli occhi al cielo, alle nuvole che si sfilacciavano
nella furia del vento, a un pallido raggio di sole incuneato nel blu cobalto
che li sovrastava “è sempre stata sotto i nostri occhi. La risposta è questo
universo inviolato, frutto del caso e scevro da manipolazioni. Con lui siamo
nati”, sorrise. “Con lui troveremo la
fine.”
Loredana
menomale che son scesa a leggere, così non mi è sfuggito questo bel racconto, visionario, metafisico.
RispondiEliminal'angoscia all'incontrario, paura della vita, non della morte, anzi, speranza che la fine, seppure lontana, prima o poi arriverà!
piaciuto molto.
cri