mercoledì 24 settembre 2014

C'è anche il mito di Atlantide nel Puzzle di Dio


"Hai mai sentito parlare di Tin Hinan?”

Mattias si limitò a scuotere la testa. Il silenzio del deserto era come amplificato dal borbottio sconosciuto di Ahmed e i suoi uomini. Poi uno di loro intonò un canto che sembrò aprire lo scrigno dei pensieri di Nesayem.

“Tin Hinan sarebbe stata una nobile donna musulmana, arrivata in questa zona dal Marocco, in compagnia della sua ancella Takama. All’epoca qui vivevano gli Isebeten, il popolo che ha preceduto gli Imohag nelle terre dell’Hoggar. Forse gli ultimi Garamanti. La leggenda dice che questa gente era ingenua e primitiva, adoravano gli dei e parlavano un’altra lingua, ma Tin Hinan si sarebbe accoppiata con uno di loro e avrebbe avuto una figlia, Kella, che, a sua volta, avrebbe sposato un guerriero Isebeten facendone il primo amenokal, cioè capotribù, che la storia del nostro popolo ricordi: Sidi ag Mohammed Elkhir.”

“E’ un nome arabo”, notò Mattias. “Ero convinto che la tua gente non amasse molto gli arabi.”

Nesayem sorrise.

“Dice un nostro detto: loro avevano il Corano, noi avevamo le terre. Oggi noi abbiamo il Corano e loro hanno le nostre terre. In realtà la leggenda ha un fondo di verità che risale a molto prima che il profeta Maometto pensasse bene di dare a un popolo rissoso e straccione come quello arabo una religione e uno scopo da perseguire. Tin Hinan è veramente esistita e a provarlo c’è la sua tomba, un colossale monumento megalitico nei pressi di Abalessa, a neanche due giorni di cammino da qui. E’ un accumulo di massi a forma di mezzaluna, noi li chiamiamo édebnì e secondo un’altra delle nostre leggere sarebbero le tombe di una popolazione di giganti dell’antichità, gli ljabbaren.”

Il canto continuava con un andamento ipnotico che rendeva favolose e credibili al tempo stesso le parole di Nesayem.

“Vuoi dire che Tin Hinan era una gigantessa?”

Lei scosse la testa.

“Era una regina”, disse in tono ispirato. “La sua tomba comprende undici stanze sotterranee circondate da una spessa muraglia. In una di queste, nel 1935, è stato trovato il suo scheletro e il suo corredo funebre. E’ stata sepolta con gli onori di una grande sovrana. Grande anche nel senso fisico del termine perché era alta almeno un metro e settantacinque. Una statura non comune per l’epoca, per una donna e per il popolo degli Isebeten. Quando gli europei sono venuti a contatto con la civiltà della mia gente, ciò che li impressionò fu il ruolo della donna nella società. Contrariamente agli usi imposti dalle popolazioni musulmane, per gli Imohag la donna ha una grande importanza, non porta il velo, che è destinato agli uomini in ricordo della vergogna di un’antica battaglia persa dai nostri guerrieri per viltà, e soprattutto trasmette il potere per via matrilineare.”

“E tutto questo deriverebbe da Tin Hinan?”

Il canto si era esaurito e adesso i tuareg parlottavano tra loro e ridevano.

“Si”, rispose Nesayem, “la regina Tin Hinan o, come la riportano i miti occidentali, la regina Antinea.”

Mattias sorrise.

“Quella di Atlantide?”, esclamò senza nascondere il proprio scetticismo.

“Atlantide è solo il nome che gli europei, a partire da Platone, hanno voluto dare al ricordo ancestrale di una civiltà molto evoluta che è stata spazzata via da una qualche catastrofe. Potrebbe essere stata l’esplosione e il successivo maremoto dell’isola di Santorini, potrebbe essere stato il crollo della barriera che teneva l’oceano fuori da quello che oggi è lo stretto di Gibilterra, potrebbe essere stata la desertificazione definitiva del Sahara. Qui oggi la vita sembra estinta ed è stato ascoltando le storie degli uomini che tornavano con le carovane del sale dal Niger o dal Mali che, quando ero bambina, ho scoperto che esistevano davvero tutti quegli animali che avevo visto disegnati nelle grotte sacre: leoni, giraffe, zebre, struzzi. A tutto il mio popolo piace raccontare, evocare con la sola forza delle parole il mondo che abbiamo perduto.”

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