martedì 10 ottobre 2017

Doccia fredda #13 Luce (esordiente)

All’improvviso una gran luce.
Cominciava sempre così e si ritrovava a correre nel parco; una corsa lenta, appena accennata, per godersi il paesaggio.
La ghiaia crepitava a ogni passo e i primi colori di marzo si mettevano in mostra, fieri di aver vinto la lotta contro la terra scura dell’inverno: le primule riempivano i prati sotto l’ombra degli alberi che, guardandola inteneriti, la coprivano per darle sollievo. 
Anna amava il parco perché era sempre pieno di gente; bambini che giocavano, vecchietti che leggevano il giornale sulle panchine o che andavano al bar della bocciofila. Era pieno di amici, di amanti. Pieno di mamme con il passeggino e di papà con il cane al guinzaglio. Pieno di biciclette e di palloni. Sempre pieno di voci, di risate e di tante parole sussurrate. Che spettacolo!
Ma ciò che preferiva era la casetta in fondo al viale, tutta circondata da rose porpora che profumavano l’aria. Ancora pochi metri e sarebbe arrivata.
Quanta pace le dava inspirare profondamente la quiete di quel posto.
A quell’ora, una vecchietta, al di là della finestra, era sempre intenta a sferruzzare; lunghe ore di lavoro per perdersi nei ricordi, dimenticare i problemi e sorridere ancora. Proprio come la sua corsa.
Quel giorno, però non era la sola a osservare la nonnina; un ragazzo si era fermato davanti lo steccato a godersi il roseto.
Anna gli si avvicinò piano.
«Piace anche a te?»
Immerso nei pensieri, Stefano ebbe un sussulto; non l’aveva sentita arrivare.
«Sì, molto.» le rispose sorridendo.
Poche parole. Ma, come spesso capita, le parole perdono valore se gli sguardi hanno già scritto la storia.
Amore.

Di nuovo luce. Stavolta in uno scoppio e un altro ancora.
Tanta gente intorno. Sentiva i gridolini eccitati dei bambini – Mamma, guarda! Guarda che bello! – e gli applausi al meraviglioso gioco dei fuochi nel cielo.
Al suo fianco Stefano sembrava inquieto, per tutta la sera aveva dato l’impressione di dover dire qualcosa… ed era così.
Forse, proprio grazie al rumore che nascondeva il suo imbarazzo, trovò il coraggio, in un unico soffio «Anna, vuoi sposarmi?»
Lei sentì il cuore esplodere più forte di qualsiasi petardo «Sì, certo che sì!»  lo abbracciò come mai prima coprendo di baci ogni centimetro di pelle del suo viso. Poi, con le braccia al collo, lo guardò fisso stringendo le labbra «Anzi, mi chiedevo quanto mi avresti fatto aspettare ancora. Siamo insieme da quattro anni, stavo perdendo la pazienza, sai!» disse fingendosi arrabbiata.
Stefano la strinse di più e le sussurrò all’orecchio «Forse ho qualcosa per farmi perdonare. Un regalo.»  e sfilò una busta dalla tasca interna della giacca «Guarda.»
«Cos’è?»
«Un contratto.»
«Un contratto?» lo guardò incuriosita.
«È la nostra nuova casa. La casa delle rose.»
«Non ci posso credere… » l’emozione appannò così tanto i sensi di Anna che anche i fuochi d’artificio si ammutolirono. Non trovò le parole per spiegare quella felicità così perfettamente tonda, forse perché non esistevano.
Chiuse gli occhi ridendo e, prendendo un lungo respiro, si sciolse in un bacio umido di lacrime di gioia.

Ancora luce. Un sole caldo attraversava la finestra della stanza di Anna. Quanta confusione quel giorno, quante persone che la baciavano, accarezzavano, stringevano. Quanta ansia, quanta eccitazione vibrare sotto pelle e quel sorriso stampato sul viso da quando si era svegliata. Non riusciva a smettere, temeva che sarebbe rimasto lì per sempre.
Era tutto pronto tranne lei, ancora in vestaglia.
«Dai, su, è il momento.» disse sua madre con dieci anni di meno nel tailleur di seta rosa «Facciamo presto, prima che arrivi il fotografo. Non vorrai farti trovare così!»
«Perché no! Un book sexy per Stefano.»
«Non fare la stupida.» rispose la madre tra l’imbarazzo e il divertimento.
«Va bene.» Anna, ridacchiando, aprì la custodia del vestito, il più bello che avrebbe mai indossato. Si commosse.
«Chiama Daniela, è troppo complicato da mettere ed è così delicato.» disse sfiorandolo con le dita «Mi porti anche qualcosa per il mal di testa?»
«Certo, tesoro, ma cerca di stare tranquilla e vedrai che passerà.»

All’ultima luce era un angelo, un angelo bianco avvolto nel velo. I faretti dilatavano il candore dei suoi contorni e solo quell’unica rosa rossa tra i capelli la rendeva reale.
Anna cercava di capire se era tutto a posto, se mancava qualcosa ma con quel dolore alla testa non riusciva a concentrarsi e… non sorrideva più.
Era come un martello, un pistone che premeva forte, in un solo punto, sempre quello, sempre più forte e ancora di più.
Cosa le stava succedendo? Cos’era? Cosa….
Buio.

Un buio così fondo non si era mai visto, forse solo nello spazio siderale. Cosa ci faceva lì? Non ricordava, non aveva memoria del passato e in un battito di ciglia anche l’ultima immagine era scomparsa.
Anna galleggiava in un Nulla senza suoni, senza odori, senza tempo e dimenticò se stessa.

Stefano entrò nella grande sala.
Dopo tutti quei mesi si era abituato all’innaturale biancore delle luci artificiali. Entrò lentamente; sapeva che non aveva senso passare da lì tutti i giorni, alla stessa ora, parlare con i medici e sentirsi dire sempre le stesse cose, ma non riusciva a rinunciarci.
Si avvicinò al letto. Era così pallida e magra, sembrava una bambina, tranquilla in quel sonno infinito. Come sempre si chinò su di lei, le strinse la mano e sussurrò «Amore».


Anna, persa nel profondo Nulla, all’improvviso vide una gran luce e si ritrovò a correre nel parco. 

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