All’improvviso
una gran luce.
Cominciava
sempre così e si ritrovava a correre nel parco; una corsa lenta, appena
accennata, per godersi il paesaggio.
La
ghiaia crepitava a ogni passo e i primi colori di marzo si mettevano in mostra,
fieri di aver vinto la lotta contro la terra scura dell’inverno: le primule
riempivano i prati sotto l’ombra degli alberi che, guardandola inteneriti, la
coprivano per darle sollievo.
Anna
amava il parco perché era sempre pieno di gente; bambini che giocavano,
vecchietti che leggevano il giornale sulle panchine o che andavano al bar della
bocciofila. Era pieno di amici, di amanti. Pieno di mamme con il passeggino e
di papà con il cane al guinzaglio. Pieno di biciclette e di palloni. Sempre
pieno di voci, di risate e di tante parole sussurrate. Che spettacolo!
Ma
ciò che preferiva era la casetta in fondo al viale, tutta circondata da rose
porpora che profumavano l’aria. Ancora pochi metri e sarebbe arrivata.
Quanta
pace le dava inspirare profondamente la quiete di quel posto.
A
quell’ora, una vecchietta, al di là della finestra, era sempre intenta a
sferruzzare; lunghe ore di lavoro per perdersi nei ricordi, dimenticare i
problemi e sorridere ancora. Proprio come la sua corsa.
Quel
giorno, però non era la sola a osservare la nonnina; un ragazzo si era fermato
davanti lo steccato a godersi il roseto.
Anna
gli si avvicinò piano.
«Piace
anche a te?»
Immerso
nei pensieri, Stefano ebbe un sussulto; non l’aveva sentita arrivare.
«Sì,
molto.» le rispose sorridendo.
Poche
parole. Ma, come spesso capita, le parole perdono valore se gli sguardi hanno
già scritto la storia.
Amore.
Di
nuovo luce. Stavolta in uno scoppio e un altro ancora.
Tanta
gente intorno. Sentiva i gridolini eccitati dei bambini – Mamma, guarda! Guarda
che bello! – e gli applausi al meraviglioso gioco dei fuochi nel cielo.
Al
suo fianco Stefano sembrava inquieto, per tutta la sera aveva dato l’impressione
di dover dire qualcosa… ed era così.
Forse,
proprio grazie al rumore che nascondeva il suo imbarazzo, trovò il coraggio, in
un unico soffio «Anna, vuoi sposarmi?»
Lei
sentì il cuore esplodere più forte di qualsiasi petardo «Sì, certo che sì!» lo abbracciò come mai prima coprendo di baci
ogni centimetro di pelle del suo viso. Poi, con le braccia al collo, lo guardò fisso
stringendo le labbra «Anzi, mi chiedevo quanto mi avresti fatto aspettare
ancora. Siamo insieme da quattro anni, stavo perdendo la pazienza, sai!» disse
fingendosi arrabbiata.
Stefano la strinse di
più e le sussurrò all’orecchio «Forse ho qualcosa per farmi perdonare. Un
regalo.» e sfilò una busta dalla tasca
interna della giacca «Guarda.»
«Cos’è?»
«Un
contratto.»
«Un
contratto?» lo guardò incuriosita.
«È
la nostra nuova casa. La casa delle rose.»
«Non
ci posso credere… » l’emozione appannò così tanto i sensi di Anna che anche i
fuochi d’artificio si ammutolirono. Non trovò le parole per spiegare quella
felicità così perfettamente tonda, forse perché non esistevano.
Chiuse
gli occhi ridendo e, prendendo un lungo respiro, si sciolse in un bacio umido
di lacrime di gioia.
Ancora
luce. Un sole caldo attraversava la finestra della stanza di Anna. Quanta
confusione quel giorno, quante persone che la baciavano, accarezzavano,
stringevano. Quanta ansia, quanta eccitazione vibrare sotto pelle e quel
sorriso stampato sul viso da quando si era svegliata. Non riusciva a smettere,
temeva che sarebbe rimasto lì per sempre.
Era
tutto pronto tranne lei, ancora in vestaglia.
«Dai,
su, è il momento.» disse sua madre con dieci anni di meno nel tailleur di seta
rosa «Facciamo presto, prima che arrivi il fotografo. Non vorrai farti trovare
così!»
«Perché
no! Un book sexy per Stefano.»
«Non
fare la stupida.» rispose la madre tra l’imbarazzo e il divertimento.
«Va
bene.» Anna, ridacchiando, aprì la custodia del vestito, il più bello che
avrebbe mai indossato. Si commosse.
«Chiama
Daniela, è troppo complicato da mettere ed è così delicato.» disse sfiorandolo
con le dita «Mi porti anche qualcosa per il mal di testa?»
«Certo,
tesoro, ma cerca di stare tranquilla e vedrai che passerà.»
All’ultima
luce era un angelo, un angelo bianco avvolto nel velo. I faretti dilatavano il
candore dei suoi contorni e solo quell’unica rosa rossa tra i capelli la
rendeva reale.
Anna
cercava di capire se era tutto a posto, se mancava qualcosa ma con quel dolore
alla testa non riusciva a concentrarsi e… non sorrideva più.
Era
come un martello, un pistone che premeva forte, in un solo punto, sempre
quello, sempre più forte e ancora di più.
Cosa
le stava succedendo? Cos’era? Cosa….
Buio.
Un
buio così fondo non si era mai visto, forse solo nello spazio siderale. Cosa ci
faceva lì? Non ricordava, non aveva memoria del passato e in un battito di
ciglia anche l’ultima immagine era scomparsa.
Anna
galleggiava in un Nulla senza suoni, senza odori, senza tempo e dimenticò se
stessa.
Stefano
entrò nella grande sala.
Dopo
tutti quei mesi si era abituato all’innaturale biancore delle luci artificiali.
Entrò lentamente; sapeva che non aveva senso passare da lì tutti i giorni, alla
stessa ora, parlare con i medici e sentirsi dire sempre le stesse cose, ma non
riusciva a rinunciarci.
Si
avvicinò al letto. Era così pallida e magra, sembrava una bambina, tranquilla
in quel sonno infinito. Come sempre si chinò su di lei, le strinse la mano e
sussurrò «Amore».
Anna,
persa nel profondo Nulla, all’improvviso vide una gran luce e si ritrovò a
correre nel parco.
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